Che cosa sta succedendo nel mondo del lavoro?

Da un po’ di tempo a questa parte, la notizia che maggiormente circola relativamente al lavoro in Italia è quella secondo cui il lavoro c’è, ma non ci sono persone che “abbiano voglia di lavorare”. La colpa di questa scarsa voglia di lavorare è attribuita, a seconda dei casi, al reddito di cittadinanza (che permette di guadagnare restandosene comodamente a casa), o alla scarsa propensione dei e delle giovani a fare anche un minimo sacrificio (il lavoro su turni di 24 ore 7 giorni alla settimana, ad esempio), o ancora, all’essere “choosy”, bamboccionə.

In controtendenza a questa narrazione dominante, c’è Possibile che da mesi, raccoglie le testimonianze di persone che hanno lavorato con ritmi spesso insostenibili per paghe talmente irrisorie da poter essere considerate sfruttamento. Ma cosa sta succedendo quindi al mondo del lavoro?

Per le generazioni passate (quelle che ormai si avvicinano alla meta della pensione), era sufficiente un diploma (a volte anche meno) per accedere a un lavoro con un contratto a tempo indeterminato; solo a partire dal 1984, viene introdotto il Contratto di Formazione Lavoro: l’assunzione era fatta ad un livello inferiore, con uno stipendio più basso e con sgravi contributivi per l’azienda, ma era già un posto di lavoro sicuro che dava sicurezza e permetteva di rendersi indipendenti dalla famiglia. La logica che muoveva questo tipo di contratto era che, subito dopo il diploma, potesse mancare la pratica specifica per quella competenza, per cui, un’assunzione di questo tipo, della durata di un paio di anni, serviva ad acquisire le competenze mancanti e a meno di problematiche evidenti, ad assumere il ruolo e quindi ad ottenere un contratto a tempo indeterminato al livello previsto per la competenza raggiunta.

Con una laurea invece, era normale ambire già da subito a posizioni di un certo rilievo: si presupponeva infatti che l’università fosse servita a fornirti le competenze necessarie.

Era il periodo in cui per svolgere professioni come l’insegnante di scuola primaria bastava il diploma; per fare l’infermiere o l’infermiera, occorreva frequentare e superare un corso svolto in ospedale a cui si accedeva dopo il biennio alle superiori (attualmente per entrambe queste figure professionali serve una laurea triennale).

Ma veniamo alla situazione attuale: oggi, dopo una laurea (magari magistrale), a volte dopo pure varie specializzazioni e/o master, l’unica possibilità di lavorare che viene offerta è quella del tirocinio.

La motivazione esplicita è che manchi l’esperienza, ma ciò che lascia di stucco è che ad affermare questa cosa, sia per la maggior parte gente appartenente a quella generazione di cui abbiamo parlato finora; le stesse persone che ora occupano posizioni tanto di rilievo da avere parola sull’assunzione del personale e che evidentemente hanno dimenticato di quando, appena ottenuto un diploma di qualifica o di maturità hanno incontrato l’azienda che, dopo un colloquio, ha dato loro fiducia e si è impegnata a formarlə nell’attività pratica e assumendolə dal primo giorno con un contratto subordinato, con tutti i diritti e con un stipendio, ovviamente, commisurato all’età e all’esperienza.

In realtà il livello di esperienza centra molto poco.

Il tirocinio extra-curriculare in Italia può esser proposto a qualunque età e non solo alle persone che per la prima volta si stanno affacciando al mondo del lavoro, ma troppo spesso, semplicemente facendo qualche lieve modifica alla posizione per cui si assume, viene proposto anche a chi ha avuto già un’esperienza di lavoro subordinato nel ruolo. Il tirocinio è un modo per abbattere il costo del lavoro e le aziende non si fanno scrupoli ad applicarli sulla scala più larga possibile anche perchè i controlli a cui dovrebbero essere sottoposte queste forme contrattuali, in realtà sono quasi inesistenti (purtroppo, non esiste una normativa europea in merito, anche se in molti Paesi il contratto del tirocinio è normato in maniera molto più stringente che qui).

E allora vediamoli questi contratti di tirocinio che giovani decisamente non “choosy” si trovano costrettə ad accettare: 40 ore settimanali (che in realtà sono sempre di più, ma lo straordinario non è previsto perchè non dovrebbe mai essere svolto da chi fa tirocinio), senza ferie né permessi, senza mutua per, quando va bene, 800 euro lordi al mese. Il tirocinio è per sua natura un contratto a tempo determinato, quindi si vive nell’incertezza.

Ovviamente, il tirocinio non è l’unica forma “creativa” per avere personale sempre sotto pressione (vivere periodi più o meno lunghi senza sapere se il tuo contratto verrà rinnovato, oltre alla consapevolezza di non riuscire ad essere indipendente, è fonte di parecchio stress) e a basso costo, si potrebbero citare molte altre forme legali di sfruttamento…

Però sui giornali, continuiamo a leggere di aziende che non trovano personale, come Grafica Veneta, la tipografia che aveva fornito alla Regione Veneto le mascherine durante la prima ondata della pandemia da Coronavirus, ma che soprattutto, stampava tantissimi titoli di numerosi editori; si lamentavano di non trovare persone disposte a lavorare sui turni. Sarebbe forse bastato proporre paghe adeguate ai ritmi di lavoro richiesti? Non lo sapremo mai: è di questi giorni il blitz anticaporalato che ha portato all’arresto di 2 manager dell’azienda. Secondo la procura i due dirigenti erano a conoscenza della situazione di illegalità, l’Arma dei Carabinieri ha accertato infatti che gli operai e le operaie  venivano assuntə con regolari contratti ma lavoravano anche fino a 12 ore al giorno, senza pause, ferie, né tutele. Per contro, se un’azienda semplicemente applica il CCNL di riferimento, assume il personale con le tutele spettanti, nella narrazione di cui sopra, diventa “etica”.

Da qualche anno ormai teniamo un database delle morti sui luoghi di lavoro, morti che di anno in anno aumentano, morti spesso atroci (ricorderete tutte e tutti Luana D’Orazio, anche se non è stata l’unica a morire quest’anno in quel modo così atroce) e che forse potevano essere evitate: macchinari manomessi, per aumentare la produttività, stanchezza dovuta a turni massacranti, mancata formazione e affiancamento (nonostante il contratto di tirocinio preveda proprio questo); la settimana scorsa l’INAIL ha rivelato che oltre l’86% delle aziende ispezionate nel 2020, erano irregolari dal punto di vista del versamento dei premi e degli obblighi contributivi e nonostante ciò, c’è ancora chi si ostina a raccontare che siano i e le giovani a non aver voglia di lavorare?

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